Skip to main content

Giorno: 19 Ottobre 2016

Scegliere una psicoterapia. Cinque consigli per non cascare male.

Scegliere una psicoterapia. Cinque consigli per non cascare male

Quando per affrontare un problema personale si decide di affidarsi a una psicoterapia, ci si trova di fronte a una difficile scelta. Di professionisti ce ne sono davvero tanti e con formazioni e approcci molto diversi tra loro. Non è escluso che non orientandosi bene in questo mare magnum, si possa perfino finire nello studio di un ciarlatano che non avrebbe nemmeno titolo per esercitare la psicoterapia, ma si sa ben pubblicizzare e vendere.
Allora ecco cinque consigli per affidarsi a uno/a psicoterapeuta senza cascare male.

Primo consiglio

Prima di affidarsi ad un professionista, la prima regola è accertarsi che sia effettivamente iscritto/a all’Albo degli psicologi. Se l’oggetto della consulenza riguarda la cura di disturbi psicopatologici, non è nemmeno sufficiente essere psicologi, è necessario avere acquisito il titolo di psicoterapeuta, che implica 4 anni di scuola di specializzazione in più. Questa informazione può essere acquisita tramite l’Ordine degli psicologi o dei medici (possono accedere alle scuole di psicoterapia sia i laureati in psicologia che i laureati in medicina), ad esempio inviando una mail alla loro segreteria.

Diffidare di chi si propone come molto empatico o capace a partire da una predisposizione all’ascolto e all’aiuto degli altri. La verità è che solo una adeguata e lunga formazione in psicoterapia è la base di una pratica qualificata.

Le terapie che funzionano non scaturiscono da capacità individuali innate, ma piuttosto da una solida preparazione su tecniche che hanno un fondamento scientifico, che sono riconosciute dalla comunità scientifica e che sono consolidate in decenni di pratica.

Secondo consiglio

Un bravo e onesto professionista è in grado di specificare per quali disturbi o problematiche il suo approccio è più indicato, e, per le problematiche di cui non si occupa, è in grado di orientare a forme di trattamento alternativo, più adatte ed efficaci in quel caso, informando il paziente dell’esistenza di queste opportunità.

Diffidare di terapie in cui si dà a intendere che i problemi e i disturbi psicologici scaturiscono tutti da una sola causa generale.

Ad esempio, ed è il caso più frequente, l’idea che se stiamo male è perché abbiamo subito nell’infanzia un qualche tipo di trauma (spesso di tipo sessuale), anche se magari nemmeno ce lo ricordiamo.

Parallelamente, è necessario diffidare di terapie che propongono la stessa identica tecnica terapeutica per tutti i casi.

Il paziente può avere in questi casi la sensazione che una diagnosi sia stata fatta un po’ frettolosamente, senza avere la possibilità di dire tutto quello che secondo lui/lei è rilevante, oppure la sensazione che il professionista cerchi di imporre le proprie convinzioni senza cogliere le differenze e le specificità di cui la persona è portatrice.

Terzo consiglio

Le terapie efficaci sono solitamente basate su precise tecniche volte ad acquisire abilità personali di fronteggiamento attivo di determinate situazioni e si focalizzano sulle problematiche attuali per rendere il paziente più efficace nel gestirle.

Diffidare delle terapie che si basano unicamente sul recupero dei ricordi, nell’idea che la guarigione avverrà per il solo fatto di aver ricordato.

Se anche è utile ricostruire fasi precedenti della vita al fine di comprendere i fattori predisponenti, causativi o precipitanti di un disturbo o di una difficoltà, la semplice rievocazione di fatti che risalgono all’infanzia non li farà svanire come per incanto. Questa evidenza è ormai consolidata all’interno della comunità scientifica.

Quarto consiglio

Il buon esito di una terapia dipende spesso da una buona alleanza terapeutica, cioè la sensazione che paziente e terapeuta hanno di lavorare nella stessa direzione e per gli stessi obiettivi, stabiliti dal paziente. Un bravo professionista è contento che il proprio paziente non sia passivo, ma attivo nel definire i propri obiettivi di crescita personale, che chieda informazioni precise sulle metodiche utilizzate e che espliciti i propri dubbi, perché questo coinvolgimento attivo del paziente solitamente è associato al successo della terapia.

Diffidare del professionista che impone i propri obiettivi, che si mostra seccato di fronte alle domande, infastidito dai dubbi, reticente nell’esplicitare le premesse teoriche da cui parte o le tecniche che sta utilizzando.

Quinto consiglio

Un paziente deve poter valutare in autonomia come si sente e i progressi che sta ottenendo. Soprattutto deve sentire di essere rispettato nelle proprie emozioni, convinzioni, valori e scopi.
Se si ha la sensazione di non venire ascoltati o di essere controllati, se si pensa che importanti decisioni della propria vita vengono prese dal terapeuta piuttosto che essere prese in prima persona, se la seduta di terapia assomiglia più a una chiacchierata tra amici e il paziente ha la sensazione che si sta procedendo a tentoni, questi sono campanelli d’allarme da non ignorare e che vanno prima possibile discussi.

Ascoltare se stessi e dire con franchezza al proprio terapeuta come ci si sente. In una buona terapia c’è sempre spazio per ascoltare e accogliere questi aspetti.

Buona crescita personale!

Continua a leggere