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Mese: Febbraio 2017

La fibromialgia

La fibromialgia

La fibromialgia è un disturbo caratterizzato da dolore diffuso nella maggior parte del corpo, i cui gli aspetti psicologici non possono essere ignorati. A lungo si è dibattuto, fin dal suo riconoscimento nel 1990, se non sia da classificare piuttosto come disturbo psicosomatico, data la rilevanza della sintomatologia d’ansia e/o depressiva che spesso l’accompagna. L’eziologia ignota è il principale elemento che determina questa difficoltà di classificazione.

Chi soffre di fibromialgia ha i muscoli in costante tensione, il che provoca non solo dolore, ma anche rigidità che limita i movimenti, spossatezza, affaticamento per minimi sforzi, sonno mai profondo, ripetuti risvegli, stanchezza al mattino, oppure sindromi funzionali somatiche come la colite spastica. La maggior parte dei pazienti lamenta un livello di disabilità considerevole ed una diminuita qualità della vita.

La tensione muscolare si riflette a livello dei tendini che diventano dolenti in particolare nei loro punti di inserzione: questi punti dolenti, evocabili durante la visita medica con la semplice palpazione, sono una caratteristica peculiare della fibromialgia e vengono definiti “tender points”. Il dolore in questi punti è solo parte della sintomatologia, che può implicare anche altri sintomi sia fisici che cognitivi: affaticabilità, sonno non ristoratore, insonnia, colite spastica, emicranie, crampi addominali, debolezza, nausea, dolori al petto, fischi alle orecchie, vertigini, attenzione costante al dolore, drammatizzazione.

Se i fattori causativi della fibromialgia rimangono un punto di domanda, i fattori di mantenimento sono stati maggiormente esplorati alla luce della teoria di Melzack e Wall (Gate-control theory) e del modello biopsicosociale del dolore. In quest’ottica, il dolore è un fenomeno complesso e dinamico influenzato non solo dall’input sensoriale, ma anche da fattori cognitivi, emotivi, comportamentali, culturali e sociali. Ad esempio vi sono evidenze rispetto al ruolo della catastrofizzazione nel modellare l’esperienza di dolore contribuendo all’aumento della sua intensità percepita. La catastrofizzazione comporta rimuginazione sul dolore, sentimenti di impotenza e un orientamento generalmente pessimistico rispetto all’esperienza dolorifica e alle sue conseguenze. In questo senso è un elemento che sembra giustificare la frequente comorbidità tra fibromialgia e sintomatologia depressiva.

Accanto alle terapie farmacologiche che mirano alla riduzione del dolore, vi sono le terapie non farmacologiche. La letteratura internazionale sull’argomento riporta che un approccio multidisciplinare è in genere più efficace rispetto alle terapie singole.

Tra gli approcci alla fibromialgia maggiormente supportati empiricamente vi è la terapia cognitivo-comportamentale, che agisce nella direzione di evidenziare e correggere convinzioni e aspettative maladattive che mantengono ed esacerbano i sintomi e a modificare l’atteggiamento verso il dolore, incrementando le abilità di self-management e l’apprendimento di strategie di fronteggiamento dei sintomi.

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La manipolazione affettiva

La manipolazione affettiva

Manipolare significa letteralmente “lavorare con le mani”, “influenzare una persona, farle fare ciò che vuoi.” È di fatto una forma di violenza psicologica e quando avviene all’interno di una relazione sentimentale può avere effetti deleteri sul benessere psicologico, sull’autostima e sulla libertà.

L’obiettivo più o meno consapevole della manipolazione è avere potere sull’altra persona, farla sentire sbagliata usando però modi gentili. Crea dipendenza, rende vulnerabili, porta a mettere in atto comportamenti che non si vorrebbero. Ed è difficile da riconoscere proprio perché mascherata dietro modi che non solo palesemente aggressivi o violenti.

Per diventare più capaci di riconoscerla, vediamo alcune forme che concretamente può prendere la manipolazione. Faccio presente che gli esempi riportati di seguito vedono l’uomo come manipolatore e la donna come vittima di questa manipolazione per due motivi: primo, perché è il caso più frequente (in un sistema ancora patriarcale, sono gli uomini ad essere incoraggiati ad avere potere su una donna e sono le donne a venire educate ad essere sottomesse e disponibili); secondo, perché le presenti riflessioni scaturiscono dal mio lavoro con le donne vittime di violenza ed è a partire dalle loro storie che ho estrapolato gli esempi. Tuttavia, è del tutto evidente che i ruoli potrebbero essere invertiti in alcuni casi e interessare anche le coppie omosessuali.

Esempi di manipolazione affettiva

Ti dice che ti ama, ma di fatto ti sta dicendo che non vai bene

Il messaggio positivo, di amore, ha decisamente più peso sul piano emotivo, e permette di far passare l’altro messaggio: che hai qualcosa di sbagliato.

“Sei bruttina però ti amo lo stesso.”
“Mi piaci tanto, anche se sei cicciottella.”
“Ho un debole per te, sciocchina”.

Ti dice che ti ama, ma di fatto ti fa capire che non ce la farai senza di lui oppure che nessun altro ti vorrà

Come sopra, lo zucchero indora la pillola amara: ti sta dicendo che sei rifiutabile, non amabile, indegna di affetto, incapace, inetta.

“Non ti amerà mai nessuno come ti amo io.”
“Non troverai mai nessuno come me.”
“Non ne combini una giusta … che faresti se non ci fossi io che mi preoccupo per te …”

Ti dice che ti ama, ma ti ricatta

Una potente manipolazione fa leva sull’attaccamento affettivo per ottenere qualcosa da te.

“Se mi ami quanto ti amo io, fai come dico.”
“Se tu continui a fare di testa tua, io sarò costretto a …”
“Dai, non uscire con la tua amica, stai con me. Scegli: o lei o me!”

Ti dice che ti ama, ma fa la vittima

Si tratta di un rovesciamento dei ruoli: porsi nella posizione di vittima sofferente, ma lo scopo è quello di ottenere controllo su di te, facendoti sentire in colpa.

“Io così non ce la faccio più, ti amo da morire, ma mi fai soffrire troppo!”
“Siete tutti contro di me, anche tu che dovresti amarmi non mi aiuti.”
“Se mi devi trattare così, è meglio che la faccio finita!”

Usa parole gentili, ma dice bugie, ti fa credere cose non vere, nega l’evidenza

Questo tipo di manipolazione mira a far vacillare la tua percezione della realtà, facendoti dubitare di te stessa. Più crescono i tuoi dubbi, più lui ottiene potere su di te.

“Ti sbagli, io non ho mai fatto quello che dici …”
“Come puoi lontanamente pensare che … non hai capito niente!”
“Hai frainteso, le cose non sono affatto andate così.”

Usa parole gentili, ma nega ogni responsabilità personale e alla fine la colpa è sempre tua

Il manipolatore è tipicamente una persona che non si assume responsabilità, non vede i propri errori e non li riconosce; cerca di convincerti che sei tu ad aver interamente provocato la situazione problematica di cui si sta discutendo.

“Se io faccio così, è perché tu …”
“Se non fosse per i tuoi problemi, potremmo essere più felici.”

Come capisco che sono vittima di manipolazione

Ascolto i miei sentimenti

Se mi sento spesso inadeguata, incapace, o in colpa; se sperimento frequentemente disagio, timori, dubbi su di me … c’è qualcosa che non va che merita di essere messo meglio a fuoco. In una relazione che funziona, infatti, sebbene possano esserci problemi, ci si valorizza a vicenda, si rispettano i sentimenti di entrambi, ci si conferma a vicenda, ci si rinforza.

Mi domando: lui mi porta a fare cose che non farei mai di mia volontà?

Voglio veramente fare quello che lui mi chiede? Sono sempre io che mi sacrifico? Ho del tempo libero per me, oppure è sempre tutto per lui? Come mi sento a fare scelte libere, sostenuta e valorizzata oppure in colpa? Rimettere a fuoco se stessi, il proprio punto di vista, i propri obiettivi è un potente antidoto contro la manipolazione.

Osservo come vanno a finire le discussioni

Riesco a dire le mie ragioni o no? Chi dei due fa un passo indietro: sempre io o anche lui a volte? Chi chiede scusa all’altro? Chi vince di solito? Se la valutazione è fortemente sbilanciata in suo favore ed è sempre lui ad avere la meglio per un motivo o per l’altro, il rapporto non è veramente alla pari. Forse sto cedendo un po’ troppo spesso?

Cosa posso fare?

  • Mi fido delle mie sensazioni, della mia intelligenza, della mia memoria. Sebbene a volte io possa sbagliare, non può essere che io mi sbagli sempre!
  • Mi prendo le mie responsabilità, ma non tutte le responsabilità. Nei problemi di coppia entrambi hanno un ruolo; se lui non è abbastanza maturo da prendersi le sue colpe, non ci sono le basi per venirne fuori.
  • Dico “no” se quello che mi viene chiesto non va bene per me. E non mi sento in colpa, perché è un mio diritto dire no. In una coppia va bene venirsi incontro, ma attenzione che non sia un processo unidirezionale!
  • Se ho dei dubbi, chiedo consiglio a persone di cui mi fido. Un punto di vista esterno può aiutarmi a riconquistare obiettività sulla situazione.
  • Valuto se continuare la relazione o no. È difficile che auto-sacrificarmi e mettermi in una posizione di subalternità mi possa rendere felice.

Se hai questo tipo di esperienza, non è escluso che stai vivendo all’interno di una relazione che può diventare maltrattante. Scopri come con un percorso di sostegno è possibile ottenere aiuto per fronteggiare la violenza e gli obiettivi che ci si può porre sul piano psicologico in un percorso di fuoriuscita dalla violenza.

Se ci si ritrova nelle problematiche illustrate in questo articolo, è possibile avere un parere professionale in merito.

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Difendere i propri confini in quattro mosse

Difendere i propri confini in quattro mosse

I nostri confini rappresentano i limiti che poniamo a noi stessi e agli altri.

Non è sempre facile difendere il nostro confine, in particolare quando per il rapporto che ci lega, proviamo senso di colpa o timore di offendere l’altra persona. Potremmo sperimentare paura del rifiuto, oppure timore del confronto con l’altro, che potrebbe diventare conflitto. Finiamo così per accettare situazioni che non ci piacciono o che non ci fanno sentire a nostro agio.

  • Rispondi alle emergenze altrui come fossero le tue?
  • Dici dei “sì” che non vorresti veramente dire?
  • Condividi troppe informazioni e fatti personali, non riuscendo a gestire l’invadenza?
  • Oppure al contrario, rinunci a priori ad esprimere i tuoi bisogni ed essere ascoltato?

Può darsi allora che sia il caso di mettere a fuoco il tuo confine personale e iniziare a difenderlo. Stabilire un confine non è da maleducati. Può essere fatto in modo rispettoso e positivo. Il vantaggio per se stessi ha a che fare con la sicurezza e il benessere, la sensazione di integrità personale e una più solida consapevolezza del proprio valore.

Ma è anche il rapporto a trarne beneficio. Assecondando e accontentando sempre l’altro, pensiamo erroneamente di non creare problemi e quindi di rafforzare una amicizia. Tuttavia non ci fa stare bene il fatto di sistematicamente sacrificare i bisogni personali per soddisfare quelli altrui. Ci si sente in balia degli altri e ci porta a provare rabbia, finendo alla lunga per logorare un rapporto invece di salvaguardarlo. Esplicitare i propri bisogni e i propri limiti favorisce invece l’instaurarsi di un rapporto franco, autentico, alla pari e basato sul rispetto reciproco.

1. Ascolta come ti senti

Le emozioni negative sono sempre il campanello d’allarme che qualcosa non va. Rabbia, frustrazione, paura, abbattimento: se ci sono, vanno ascoltate per cercare di capire da cosa derivano. Quali sono i tuoi bisogni in quel momento? Perché non ti senti a tuo agio?

Alcuni esempi: la richiesta di un amico a cui hai risposto “sì” ti è giunta sgradita? Qualcuno ha parlato al posto tuo? Il tuo interlocutore non ti ascolta? L’intensità della tua emozione ti dice se puoi passarci sopra perché è oggettivamente tollerabile per te, oppure se è il caso di agire per stabilire il tuo confine.

2. Decidi quello che desideri per te

Una volta preso contatto con le tue esigenze, è importante stabilire qual è lo spazio all’interno del quale ti senti a tuo agio e quali sono le regole e le condizioni da porre agli altri quando si muovono in questo spazio: come vuoi essere trattato, come vuoi che ci si rivolga a te, se e come vuoi essere toccato, quali sono i valori e gli obiettivi personali a cui non vuoi rinunciare, ecc.

Entra nell’ottica che è un tuo diritto farlo.

3. Stabilisci un obiettivo comunicativo e agisci

Stabilisci il confine con una comunicazione chiara e coincisa, senza giustificazioni inutili ed esprimendo le tue emozioni. Fai una richiesta precisa, nel rispetto della tua volontà, dei tuoi bisogni e dei tuoi desideri.

Si tratta di dire “no” alla richiesta? Stoppare un atteggiamento invadente? Affermare il tuo punto di vista? Fallo in modo rispettoso, comprensivo, ma fermo.

4. Ricorda che non sei responsabile della risposta dell’altra persona

A patto di essere educati e rispettosi, non abbiamo la responsabilità della reazione dell’altro. Anche se la risposta non dovesse essere positiva, questo non è sufficiente ad annullare il tuo bisogno. Aggiusta il tiro magari, ma non indietreggiare.

E se anche accadesse che l’altro non mostra la volontà di considerare quello che gli stai dicendo e continua a violare il tuo confine, è comunque importante parlare; ha a che fare col rispetto che abbiamo per noi stessi. Se queste violazioni continuano nonostante le tue comunicazioni, considera che potresti avere a che fare con una persona violenta e prevaricatrice; valuta se non sia il caso di interrompere la relazione per proteggere la tua integrità.

Stabilire confini è un processo, attraverso il quale si diventa gradualmente più capaci. Non rinunciare se un tentativo fallisce. Apprendi dall’esperienza. Ricorda: non è mai troppo tardi per accorgersi che un confine merita di essere eretto. Ad esempio ci si può rendere conto ad un certo punto di aver condiviso troppe informazioni riservate a un nuovo collega di lavoro o che un’amica si sta comportando in modo un po’ squalificante nei tuoi confronti. Non è mai tardi per agire nella direzione di proteggere il proprio confine. 

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