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La fibromialgia

La fibromialgia è un disturbo caratterizzato da dolore diffuso nella maggior parte del corpo, i cui gli aspetti psicologici non possono essere ignorati. A lungo si è dibattuto, fin dal suo riconoscimento nel 1990, se non sia da classificare piuttosto come disturbo psicosomatico, data la rilevanza della sintomatologia d’ansia e/o depressiva che spesso l’accompagna. L’eziologia ignota è il principale elemento che determina questa difficoltà di classificazione.

Chi soffre di fibromialgia ha i muscoli in costante tensione, il che provoca non solo dolore, ma anche rigidità che limita i movimenti, spossatezza, affaticamento per minimi sforzi, sonno mai profondo, ripetuti risvegli, stanchezza al mattino, oppure sindromi funzionali somatiche come la colite spastica. La maggior parte dei pazienti lamenta un livello di disabilità considerevole ed una diminuita qualità della vita.

La tensione muscolare si riflette a livello dei tendini che diventano dolenti in particolare nei loro punti di inserzione: questi punti dolenti, evocabili durante la visita medica con la semplice palpazione, sono una caratteristica peculiare della fibromialgia e vengono definiti “tender points”. Il dolore in questi punti è solo parte della sintomatologia, che può implicare anche altri sintomi sia fisici che cognitivi: affaticabilità, sonno non ristoratore, insonnia, colite spastica, emicranie, crampi addominali, debolezza, nausea, dolori al petto, fischi alle orecchie, vertigini, attenzione costante al dolore, drammatizzazione.

Se i fattori causativi della fibromialgia rimangono un punto di domanda, i fattori di mantenimento sono stati maggiormente esplorati alla luce della teoria di Melzack e Wall (Gate-control theory) e del modello biopsicosociale del dolore. In quest’ottica, il dolore è un fenomeno complesso e dinamico influenzato non solo dall’input sensoriale, ma anche da fattori cognitivi, emotivi, comportamentali, culturali e sociali. Ad esempio vi sono evidenze rispetto al ruolo della catastrofizzazione nel modellare l’esperienza di dolore contribuendo all’aumento della sua intensità percepita. La catastrofizzazione comporta rimuginazione sul dolore, sentimenti di impotenza e un orientamento generalmente pessimistico rispetto all’esperienza dolorifica e alle sue conseguenze. In questo senso è un elemento che sembra giustificare la frequente comorbidità tra fibromialgia e sintomatologia depressiva.

Accanto alle terapie farmacologiche che mirano alla riduzione del dolore, vi sono le terapie non farmacologiche. La letteratura internazionale sull’argomento riporta che un approccio multidisciplinare è in genere più efficace rispetto alle terapie singole.

Tra gli approcci alla fibromialgia maggiormente supportati empiricamente vi è la terapia cognitivo-comportamentale, che agisce nella direzione di evidenziare e correggere convinzioni e aspettative maladattive che mantengono ed esacerbano i sintomi e a modificare l’atteggiamento verso il dolore, incrementando le abilità di self-management e l’apprendimento di strategie di fronteggiamento dei sintomi.

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