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Mese: Luglio 2019

Dottoressa, sarà il mio carattere?

Dottoressa, sarà il mio carattere?

Per la serie “spiegazioni controproducenti”: L’IDEA DI UN CARATTERE INNATO.

Quando si affronta un percorso di psicoterapia, come è giusto che sia, la persona che cerca aiuto per le proprie difficoltà ha già elaborato tra sé e sé delle spiegazioni circa la natura e le cause del proprio problema. Avrà anche già tentato delle strategie per risolverlo, senza riuscire o riuscendo solo in parte, il che giustifica la richiesta d’aiuto professionale. Gli esseri umani hanno questa qualità: osservano se stessi e il proprio comportamento e ne traggono delle conclusioni. La natura di queste ultime può essere funzionale o disfunzionale, a seconda che permetta di risolvere il problema o meno. Vi sono una serie di luoghi comuni e di pensieri ricorrenti che spesso sono di ostacolo a chi sta cercando di apportare un cambiamento in positivo alla propria vita. In questo articolo analizziamo il primo: l’idea di essere portatori di un “carattere” particolare.

La storia della psicologia ha contribuito a questa rappresentazione, approfondendo nel tempo concetti quali: “temperamento”, “costituzione”, “carattere”, “tipo psicologico” e infine “personalità”. Abbiamo la percezione di essere un complesso unitario, un tutt’uno con caratteristiche peculiari, che in qualche modo determina il nostro modo di agire e di reagire. Osserviamo il nostro comportamento e abbiamo la sensazione che ci siano delle costanti, delle modalità tipiche che ci definiscono.

Il concetto di “carattere” è uno dei più potenti ostacoli ad un percorso di psicoterapia che io abbia mai incontrato.

Esso infatti presuppone una base stabile e immodificabile, almeno in parte, che rende pessimisti circa la possibilità di un cambiamento, frena l’intraprendenza e boicotta l’impegno profuso verso gli obiettivi che ci si pone. Ogni insuccesso viene letto come la prova di una costituzionalità o peggio, di un destino immutabile. I successi, viceversa, saranno con più probabilità letti come il risultato del caso o della fortuna o della benevolenza altrui, qualcosa che si raggiunge nonostante le proprie tare.

Tutto è basato su un fraintendimento di fondo. È senz’altro vero che ognuno di noi possiede delle tipiche modalità di reagire al proprio ambiente, che tendiamo a ripetere. Nel percorso di vita sperimentiamo strategie che possono anche funzionare in determinati momenti (ad es. per ottenere amore, riconoscimento, conferme, attenzione, lodi, benefici materiali, intimità, ecc.) e ovviamente tenderemo a riproporle, attraverso un banale meccanismo di apprendimento. Tali strategie possono in seguito rivelarsi disfunzionali oppure insufficienti. L’errore sta nel ritenere che queste modalità ripetute tali e quali nel tempo siano definite da una sorta di impronta genetica o familiarità che le definisce e le perpetua. Se si è in questo pensiero, è improbabile valutare di intraprendere un percorso di crescita personale, oppure sì, ma senza crederci troppo. Si chiude il discorso dicendo a se stessi: “io sono così, punto” e arrendendosi a qualcosa che viene percepito come un muro di gomma contro il quale è inutile scagliarsi.

“Sono fatto così”, “ci sono nato”, “è più forte di me”, sono delle varianti dello stesso concetto, che porta a concludere: “Che ci posso fare? Nulla.”

La chiave sta nel rovesciare questa prospettiva, basandosi appunto sul concetto di apprendimento. Tutto ciò che è stato costruito attraverso l’esperienza, può essere in qualunque momento accantonato nel momento in cui si fanno esperienze diverse che permettono l’apprendimento di nuove abilità. Questo è possibile lungo tutto l’arco della vita. La probabilità di riuscita risiede proprio nella capacità di mettere in discussione l’esistenza di un carattere che non saremo mai in grado di demolire e mettere a fuoco invece obiettivi realistici verso cui impegnarsi con fiducia.

Il successo di una psicoterapia non dipende mai da caratteristiche intrinseche del paziente, ma dall’impegno che profonde con maggiore o minore determinazione verso un obiettivo.

La scelta di un approccio psicoterapeutico comportamentista sostiene questo tipo di logica, perché accantona le dotte elucubrazioni e le inverosimili interpretazioni, per concentrarsi sulla concretezza del cosa fare, come gestire, quale abilità si possono rinforzare, allargando la gamma delle opzioni a propria disposizione invece di chiudersi all’angolo.

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fempower

FEMPOWER: Una esperienza di gruppo per donne vittime di violenza nelle relazioni sentimentali

Le donne che hanno subito maltrattamenti da parte di un partner o ex partner riportano spesso conseguenze drammatiche, anche sul piano psicologico, causate da un prolungato stato di soggiogamento, da ripetute violenze e talvolta vere e proprie torture sistematiche. FEMPOWER è il resoconto di una esperienza di gruppo di donne, che ha avuto luogo presso il centro antiviolenza “Donne e Giustizia” di Ancona. Incontro dopo incontro, le tematiche sviscerate con la conduzione di una psicologa del centro, sono state:

(1) conoscere le dinamiche della violenza e sapersene difendere;

(2) gestire le ansie e le paure;

(3) difendere i propri diritti e affermare se stesse.

Il libro è volutamente poco teorico e molto pragmaticamente ancorato all’esperienza delle donne e ai loro discorsi, nel loro percorso di graduale conquista della propria sicurezza, autonomia e libertà. Gli spunti che hanno guidato le discussioni di gruppo sono fedelmente riportati, per permettere anche in altri contesti una riproposizione altrettanto proficua e ricca di consapevolezze emergenti.

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L’autostima è un percorso

L’autostima è un percorso

Spesso le azioni che facciamo pensando di aumentare la nostra autostima sono proprio quelle che la distruggono.

L’errore di base è quello di pensare che essere determinati, capaci, spontanei o socialmente competenti sia un “carattere” con cui siamo nati. Già pensare questo ci taglia le gambe, perché non siamo nell’ottica di poter agire nella direzione del cambiamento e dell’incremento dell’autostima. Di fronte alle difficoltà ci sentiamo così costituzionalmente inadeguati, inferiori, inadatti.

La prima strategia disfuzionale che potremmo mettere in atto per cercare di migliorare la situazione è arrendersi a quella che sembra essere un’evidenza, ed evitare tutte le situazioni nelle quali ci potremmo sentire a disagio. In questo modo non ci esponiamo, non rischiamo e nemmeno cresciamo. Osservando il nostro stesso comportamento giungiamo a delle conclusioni deleterie: “sono un codardo”, “sono pauroso”, “sono incapace”, “sono fragile”, “sono debole”. Autostima? Sotto i piedi. E tanto più ci impegniamo a restare nella nostra zona di comfort e tanto più forte diventerà questa certezza.

Talvolta si decide di reagire a questo stato di cose, ma in modi che ulteriormente indeboliscono la nostra autostima. Quello più tipico? Porsi un obiettivo molto elevato, sfidando le proprie paure più grandi e dire a se stessi: “se riuscissi a raggiungere quell’obiettivo, allora potrei dimostrare che valgo.” E’ una modalità di pensiero del tipo tutto/niente: “o riesco a raggiungere immediatamente la vetta (e allora vuol dire che sono una persona di valore), oppure significa che non valgo nulla.” Siccome l’obiettivo che ci si è posti è eccessivamente alto e non raggiungibile subito, ecco che ci esponiamo ad una probabilità di fallimento molto alta. E alla fine ne dovremo concludere che sì, effettivamente “non sono all’altezza, sono un totale incapace, un fallimento.” Ecco che la strategia che nelle nostre intenzioni ci doveva aumentare l’autostima, di fatto ci restituisce, rinforzato, un pensiero negativo e squalificato di noi stessi.

La buona notizia è che, se da un lato alcune strategie disfuzionali possono peggiorare la nostra autostima, ve ne sono altre capaci di migliorarla sensibilmente. Ma come si può uscire dalla propria zona di comfort senza che quello che facciamo ci torni indietro come un boomerang?

Oltre il confine della zona di comfort esiste la cosiddetta “zona di apprendimento“, un’area all’interno della quale possiamo sperimentare senza correre grossi rischi di fallimento, ottenere successi, crescere, diventare via via più competenti e sicuri di noi stessi. L’autostima è un percorso, nel quale possiamo compiere passo passo progressi nella direzione di allargare la nostra comfort zone.

Un percorso di psicoterapia comportamentale si basa essenzialmente su una serie di tecniche la cui efficacia è sperimentata, per esporsi alla cosiddetta “zona di apprendimento” sentendosi efficaci e rinforzando così l’autostima. L’approccio comportamentale fornisce strumenti concreti che rendono le persone sempre più abili nel gestire situazioni fino a quel momento temute ed evitate, di difficoltà via via crescente, fino ad arrivare all’obiettivo inizialmente percepito come irraggiungibile. Se non è affidata all’improvvisazione, ma a un piano terapeutico strutturato, la probabilità di successo è decisamente maggiore.

Per avere una consulenza su un percorso di incremento dell’autostima, puoi contattare la dott.ssa Grilli esperta in tecniche di tipo comportamentale.

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