Skip to main content

Il senso di sé dopo la violenza di genere

Subire reiteratamente violenza di genere ha un indubbio impatto sul senso di sé.

La continua critica, le punizioni irragionevoli per comportamenti innocui, le manipolazioni della realtà che colpevolizzano in modo sistematico, il controllo stringente esercitato su ogni aspetto della propria vita hanno conseguenze durature su come la persona pensa, vede e parla di se stessa.

Centrale è il sentimento della vergogna, non solo rispetto a quanto accade all’interno della relazione maltrattante, ma anche e soprattutto rispetto a quello che si sente di essere.

Le parole più comuni che ho sentito pronunciare alle donne vittime di maltrattamenti sistematici quando si riferiscono a se stesse sono:

  • cattiva
  • sbagliata
  • indegna
  • non amabile

e una serie di sinonimi, tutti col significato di “non vado bene”. Mentre ci si sente in colpa per qualcosa di sbagliato che si sente di aver fatto, la vergogna è un sentimento che riguarda il “come sento di essere come persona”. All’estremo, la vergogna può diventare disprezzo di sé.

Oltre a essere maggiormente esposte a esperienze di ansia e depressione, anche una volta concluso il rapporto abusante, chi fa questo tipo di esperienza tende a ritirarsi, a evitare esperienze, a nascondersi, a diventare quasi invisibili. C’è una mancanza di motivazione ad attivarsi positivamente nel fare, dal momento che il pensiero sottostante diventa: “non mi merito di essere felice o di stare bene”.

Senza dubbio questo vissuto è tra le conseguenze traumatiche più gravi e durature connesse con la violenza di genere.

La ricerca ci dice che l’esperienza della vergogna è connessa col funzionamento del nostro cervello rettiliano, il che la rende viscerale, profonda, ma soprattutto inaccessibile sul piano cognitivo. Detto in parole povere: non basta dire a se stesse che “sono una brava persona”, “sono una persona di valore”, ecc. È necessario fare esperienze profonde di auto-compassione, che permettono di SENTIRE nel corpo emozioni di accoglienza, calore, rispetto.

C’è un repertorio di tecniche e strumenti, all’interno della terapia cognitivo-comportamentale, che mirano proprio a questo scopo e che rendono piano piano possibile un rapporto con se stesse più autentico, compassionevole e meno giudicante.