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Piangere senza alcuna (apparente) ragione

Piangere senza alcuna (apparente) ragione

Il pianto è una reazione non solo comprensibile la maggior parte delle volte, ma anche salutare. Ci calma, riduce il dolore, comunica agli altri il nostro bisogno di aiuto. Ma può capitare di scoppiare a piangere senza alcuna apparente ragione. Perché?

Si piange quando siamo attraversati da una emozione forte o quando proviamo dolore fisico. Non è un segnale di debolezza come si ritiene a volte. A volte però può accadere senza che possiamo pienamente comprenderne le cause in quel momento. Magari non siamo affatto tristi o sconvolti per un motivo preciso. In questi casi è più facile che lo interpretiamo come qualcosa che non va in noi o una fragilità personale.

Depressione

Se si sta attraversando una fase di depressione il pianto senza apparente ragione può essere un sintomo. I sentimenti che tipicamente accompagnano l’umore depresso sono: solitudine, senso di colpa, sensazione di essere indegno come persona, disperazione e perdita di speranza, senso di vuoto interiore.

Ansia

Anche se non siamo spaventati o sconvolti da un fatto preciso, vi possono essere sensazioni di preoccupazione continua accompagnate da sensazioni fisiche spiacevoli di ansia. Queste ultime possono sfociare in un pianto che sembra arrivare in modo imprevedibile.

Difficoltà nella regolazione emotiva

Per motivi diversi, tra cui elevati livelli di stress, possiamo trovarci sopraffatti, senza essere consapevoli della tensione che il nostro corpo sta sperimentando in modo continuativo da tempo. Il pianto può essere uno dei modi attraverso cui queste tensioni vengono, almeno parzialmente, sciolte. È quindi di un meccanismo di regolazione emotiva.

Si piange sempre per un motivo, quindi, anche quando di quel motivo non siamo completamente consapevoli.

Non necessariamente significa che abbiamo un problema serio. Di sicuro il fenomeno ha a che fare con meccanismi di autoregolazione che ci aiutano.

Si può pensare di chiedere un aiuto professionale nei casi in cui sia frequente e duraturo oppure se impatta in modo eccessivo sulla vita quotidiana e sulle relazioni.

La terapia cognitivo-comportamentale

La terapia cognitivo-comportamentale può aiutare a:

  • identificare pensieri ed emozioni sottostanti,
  • discriminare livelli di tensione o stress che possono esserci a monte,
  • applicare una serie di strumenti e prassi di regolazione emotiva.

Nei casi di depressione o disturbi d’ansia la terapia va a rafforzare le abilità che sono efficaci per contrastare queste problematiche.

In ogni caso, il percorso può supportare la persona con tecniche specifiche capaci di permettere fronteggiare le emozioni più intense e spiacevoli.

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Io e la mia amica ansia

Io e la mia amica ansia

Laboratorio di base di autoregolazione dell’ansia

Teatro Dorico, Ancona, dal 7 ottobre 2021

Laboratorio di gruppo condotto insieme all’amica Antonella Pampolini, consulente socio-pedagogica, per AMT Teatro, un’associazione che si pone finalità di formazione, sensibilizzazione ed educazione che vanno ben al di là delle sole attività teatrali.

In cinque incontri, vengono approfonditi i meccanismi dell’ansia e di quel sistema della minaccia che si attiva quando percepiamo un pericolo. Come funziona? Come rispondono il nostro cervello e il nostro corpo? Perché siamo arrivati a reagire così? Cosa è nel nostro controllo e cosa no? Ma soprattutto: quali sono gli schemi di pensiero e di comportamento di cui possiamo diventare consapevoli, che hanno un ruolo in tutto questo?

Accanto a momenti di psicoeducazione, sono contemplati momenti di esercitazioni pratiche, per acquisire una crescente capacità di auto-regolazione, di rispettosa auto-esplorazione e di dialogo interiore più pacato.

Gli incontri sono gratuiti per i soci e le socie di AMT Teatro.

ATTENZIONE: Questo percorso non sostituisce una psicoterapia per le persone con un grave disturbo d’ansia. Il laboratorio offre spunti e permette di toccare con mano modalità più funzionali di rapportarsi con se stessi e i propri vissuti emotivi, che favoriscono il benessere, ma senza avere la pretesa di guarire completamente da sintomi consolidati nel tempo che richiederebbero un percorso di terapia personalizzato.

Programma

7/10/2021 Presentazione del programma, Introduzione generale sull’ansia
14/10/2021 I nostri sistemi emotivi, I sintomi fisiologici dell’ansia
21/10/2021 I sintomi cognitivi dell’ansia 1: gli stili di pensiero “inutili”
28/10/2021 I sintomi cognitivi dell’ansia 2: gli schemi consolidati nel tempo
4/11/2021 I sintomi comportamentali: quello che facciamo che alimenta l’ansia

I pareri delle partecipanti che hanno voluto lasciarci un feedback:

« Questo laboratorio è stato molto utile e interessante, ho potuto comprendere molte cose che riguardano me e la mia ansia.

« Grazie a voi!! Il laboratorio è stato veramente interessante ed utile. E’ mia intenzione partecipare ad un’altra edizione per acquisire maggiore conoscenza dei meccanismi dell’ansia e soprattutto del mio sistema emotivo. Permettere che questi apprendimenti si sedimentino sempre di più per migliorare la convivenza con la mia amica ansia.

« Le spiegazioni sui nostri tre sistemi sono state molto esaurienti e utilissime ma mi piacerebbe vederli in scena magari con delle mimiche e delle scenette di vita reale. Tantissimi complimenti a voi organizzatrici così brave e alla mano sempre molto partecipi anche emotivamente.

« Iniziativa interessante e utile.

« Posso dire solo che mi sono trovata a mio agio.

« Confermo tutta la mia sorpresa e il gradimento per il corso svolto.

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Paura di nausea e vomito

Paura di nausea e vomito

L’esperienza della nausea non è certo piacevole, tuttavia a volte la paura che la circonda può diventare una vera e propria fobia.

In altre parole, si può andare in ansia anche solo pensando di potersi sentire male in determinate circostanze, che quindi saranno evitate.

Spesso si evitano certi cibi associati con l’esperienza della nausea, oppure non si riesce a mangiare fuori casa. Talvolta si saltano i pasti, immaginando di sentirsi male subito dopo aver mangiato. Le conseguenze più invalidanti hanno a che fare con il non riuscire a fare viaggi, partecipare a feste e cene fuori, servirsi di autobus o altri mezzi di trasporto associati con la nausea. A volte non si esce proprio di casa.

Il pensiero d’ansia può essere quello di sentirsi improvvisamente male, non riuscire a inibire il riflesso del vomito oppure fare una figuraccia in un contesto sociale. In effetti talvolta queste paure fanno parte di un più ampio disturbo d’ansia sociale.

Le persone che soffrono di questo disturbo d’ansia (emetofobia) riconoscono come irrazionali i loro timori. Tuttavia sono in un circolo vizioso nel quale:

  • L’anticipazione della situazione di disagio incrementa l’ansia.
  • L’ansia può effettivamente portare nausea. (L’ansia mette sotto stress tutti i sistemi: cardiovascolare, muscoloscheletrico, nervoso, respiratorio, e anche digerente).
  • La sensazione che proviene dallo stomaco dà alla persona la conferma che quello che teme si sta verificando, in un crescendo di malessere.

Come tutti i circoli viziosi, anche questo si può spezzare.

La terapia

Vi sono tecniche molto efficaci per fronteggiare e superare queste sensazioni e paure. In particolare, la terapia cognitivo-comportamentale può aiutare a:

  • Identificare e sfidare i pensieri negativi che causano stress;
  • Fronteggiare le situazioni temute attraverso tecniche di desensibilizzazione.

Anche quando non vi sono cause mediche che giustificano la nausea e il vomito, chi soffre di questo disturbo tende a fare uso di farmaci per gestirli. La terapia cognitivo-comportamentale invece fornisce alla persona gli strumenti personali per ridurli gradualmente fino alla loro estinzione.

Un percorso di psicoterapia cognitivo-comportamentale può facilitare questo passaggio e ridare senso di efficacia, fiducia e potere di cambiamento, interrompendo circoli viziosi improduttivi.

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Si rimugina troppo?

Si rimugina troppo?

Una grande parte dei disturbi depressivi o ansiosi va di pari passo con quel rimuginio ininterrotto, ripetitivo e controproducente che può occupare ore e ore delle nostre giornate.

La principale caratteristica del rimuginio è la sua ripetitività e ridondanza, che lo distingue nettamente dal pensiero finalizzato alla soluzione di un problema. Spesso riteniamo che per risolvere un problema lo dobbiamo comprendere alla radice, analizzarne tutte le sfaccettature, approfondirne le cause e prevederne tutte le conseguenze. E poi ricominciare da capo, perché nulla sia sfuggito a questa analisi. Ci si pongono sempre le stesse domande, a cui non riusciamo da trovare risposte soddisfacenti, il che ci porta a ripetere l’intero processo, potenzialmente anche all’infinito. Questo è il modo migliore per restare incagliati in una situazione di stallo, carico di ansia e agitazione da cui nel tempo sarà sempre più difficile venir fuori. Osservando se stessi bloccati e in preda a una sofferenza emotiva sempre più intensa, finiremo anche completamente scoraggiati circa la possibilità di modificare lo stato di cose, di qui anche l’umore basso che a volte ci può attanagliare.

Vi è alla base un errore di fondo: si ritiene che più si riflette su una questione e più essa ci diventerà chiara e noi saremo più capaci di affrontarla, il che è del tutto sbagliato. Alcune varianti di questo pensiero:

  • più cerco di capire gli errori del passato e più sarò in grado di prevenire errori futuri;
  • più comprendo le radici dei miei problemi analizzando il mio terribile passato e prima ne verrò fuori;
  • più cerco di prevedere tutte le possibilità, più sarò preparato ad affrontare le situazioni;
  • più mi concentro su me stesso e più sarò capace di controllare le mie emozioni;
  • più rievoco le figuracce che ho fatto e più sarò pronto a gestire le successive occasioni sociali;
  • più mi rimprovero per gli errori fatti, più troverò la motivazione per cambiare;
  • più mi preoccupo, maggiore sarà la probabilità di successo.

Il motivo per cui questo metodo serve solo ad incrementare la nostra ansia, è che il pensiero ruota per tempi lunghissimi intorno ai nostri errori, inefficienze, inadeguatezze, pericoli futuri, insomma, tutto ciò che di negativo c’è nella nostra vita passata, presente e futura. Finiamo così per rinforzare il giudizio negativo su noi stessi, sul mondo e sulla vita. Tutto ciò non ci aiuta né a stare meglio, né ad essere più efficaci.

La tendenza a rimuginare è più diffusa di quanto si pensi e bisogna dire che quando è limitata nel tempo, non è sempre completamente negativa: a volte ci è utile prepararci a una sfida importante cercando di prevedere quello che ci aspetta, oppure riflettere sui propri errori per apprendere da essi. A segnalarci che abbiamo superato il limite, interviene l’ansia e la netta sensazione di essere in un circolo vizioso logorante, che non ci aiuta nell’azione, anzi ci frena, ci inibisce e, incrementando le nostre paure, ci paralizza. Ci si sente sopraffatti dalla preoccupazione, che finisce per occupare tutto lo spazio mentale, impedendoci di concentrarci nello studio e nel lavoro, godere appieno di un’attività di svago o apprezzare un momento di riposo. Nei casi più gravi la preoccupazione può toglierci il sonno.

Chi porta questo problema in una psicoterapia, spesso segnala di aver provato tutti i sistemi possibili per “smettere di pensare”, senza riuscire. Eppure esiste la possibilità di indagare questa problematica alla luce dei più recenti modelli metacognitivi e applicare strategie capaci di approcciarsi ai propri pensieri in modo diverso, più leggero, libero e costruttivo.

Per un consulto su questo tipo di esperienza mentale, è possibile richiedere una valutazione diagnostica e un aiuto per un dialogo interno più costruttivo.

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L’autostima è un percorso

L’autostima è un percorso

Spesso le azioni che facciamo pensando di aumentare la nostra autostima sono proprio quelle che la distruggono.

L’errore di base è quello di pensare che essere determinati, capaci, spontanei o socialmente competenti sia un “carattere” con cui siamo nati. Già pensare questo ci taglia le gambe, perché non siamo nell’ottica di poter agire nella direzione del cambiamento e dell’incremento dell’autostima. Di fronte alle difficoltà ci sentiamo così costituzionalmente inadeguati, inferiori, inadatti.

La prima strategia disfuzionale che potremmo mettere in atto per cercare di migliorare la situazione è arrendersi a quella che sembra essere un’evidenza, ed evitare tutte le situazioni nelle quali ci potremmo sentire a disagio. In questo modo non ci esponiamo, non rischiamo e nemmeno cresciamo. Osservando il nostro stesso comportamento giungiamo a delle conclusioni deleterie: “sono un codardo”, “sono pauroso”, “sono incapace”, “sono fragile”, “sono debole”. Autostima? Sotto i piedi. E tanto più ci impegniamo a restare nella nostra zona di comfort e tanto più forte diventerà questa certezza.

Talvolta si decide di reagire a questo stato di cose, ma in modi che ulteriormente indeboliscono la nostra autostima. Quello più tipico? Porsi un obiettivo molto elevato, sfidando le proprie paure più grandi e dire a se stessi: “se riuscissi a raggiungere quell’obiettivo, allora potrei dimostrare che valgo.” E’ una modalità di pensiero del tipo tutto/niente: “o riesco a raggiungere immediatamente la vetta (e allora vuol dire che sono una persona di valore), oppure significa che non valgo nulla.” Siccome l’obiettivo che ci si è posti è eccessivamente alto e non raggiungibile subito, ecco che ci esponiamo ad una probabilità di fallimento molto alta. E alla fine ne dovremo concludere che sì, effettivamente “non sono all’altezza, sono un totale incapace, un fallimento.” Ecco che la strategia che nelle nostre intenzioni ci doveva aumentare l’autostima, di fatto ci restituisce, rinforzato, un pensiero negativo e squalificato di noi stessi.

La buona notizia è che, se da un lato alcune strategie disfuzionali possono peggiorare la nostra autostima, ve ne sono altre capaci di migliorarla sensibilmente. Ma come si può uscire dalla propria zona di comfort senza che quello che facciamo ci torni indietro come un boomerang?

Oltre il confine della zona di comfort esiste la cosiddetta “zona di apprendimento“, un’area all’interno della quale possiamo sperimentare senza correre grossi rischi di fallimento, ottenere successi, crescere, diventare via via più competenti e sicuri di noi stessi. L’autostima è un percorso, nel quale possiamo compiere passo passo progressi nella direzione di allargare la nostra comfort zone.

Un percorso di psicoterapia comportamentale si basa essenzialmente su una serie di tecniche la cui efficacia è sperimentata, per esporsi alla cosiddetta “zona di apprendimento” sentendosi efficaci e rinforzando così l’autostima. L’approccio comportamentale fornisce strumenti concreti che rendono le persone sempre più abili nel gestire situazioni fino a quel momento temute ed evitate, di difficoltà via via crescente, fino ad arrivare all’obiettivo inizialmente percepito come irraggiungibile. Se non è affidata all’improvvisazione, ma a un piano terapeutico strutturato, la probabilità di successo è decisamente maggiore.

Per avere una consulenza su un percorso di incremento dell’autostima, puoi contattare la dott.ssa Grilli esperta in tecniche di tipo comportamentale.

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I disturbi ossessivi

I disturbi ossessivi

Pensieri ossessivi e comportamenti compulsivi affliggono circa il 2% della popolazione.

Il termine “ossessione” descrive la condizione di chi si sente ostacolato dal bisogno, vissuto come insopprimibile, di compiere determinate azioni o di astenersi da altre, oppure è costretto a trattenersi attraverso pensieri particolari che non è in grado di evitare. Anche se la persona è consapevole dell’insensatezza dei suoi atti e delle sue idee ossessive, non può fare a meno di riprodurli, in una sorta di rituale messo in atto per placare l’ansia. Il rituale diviene disturbo quando, resa evidente la sua inefficacia per contenere l’ansia, se non temporaneamente, diventa a sua volta, per il suo carattere coercitivo, motivo d’ansia.

Le ossessioni includono idee, pensieri, immagini, ricordi, ragionamenti spesso attraversati dal dubbio che si propongono alla coscienza in modo automatico e contro la volontà della persona, che non riesce a liberarsene. Sono intrusivi perché compaiono contro la volontà della persona e invasivi perché velocemente occupano tutti gli spazi della coscienza.

Sono spesso accompagnate dalle compulsioni, cioè azioni che la persona mette in atto per difendersi o neutralizzare le ossessioni. Il sollievo da esse fornito è provvisorio: le compulsioni in realtà finiscono per complicare la vita della persona, condizionata in modo sempre più pesante da una serie di cerimoniali che limitano la sua libertà e autonomia.

La terapia cognitivo-comportamentale dispone di tecniche che hanno dimostrato efficacia nel trattamento di questo tipo di disturbo, permettendo alla persona di sviluppare modalità alternative, efficaci e più funzionali di gestire l’ansia, in modo tale che l’abbandono dei rituali non sia vissuto come eccessivamente spaventoso. La diminuzione dei pensieri ossessivi aiuta a modificare i comportamenti disfunzionali e viceversa. Il disturbo risponde bene al trattamento farmacologico. È tuttavia dimostrato che il trattamento accompagnato dalla terapia cognitivo-comportamentale è molto più efficace nella riduzione della sintomatologia.

Se ci si ritrova nelle problematiche illustrate in questo articolo, è possibile richiedere un consulto alla dott.ssa Elena Grilli, psicologa psicoterapeuta ad Ancona e Chiaravalle.

Altri disturbi d’ansia

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La reazione psicologica ai disastri

La reazione psicologica ai disastri

Disastri sia naturali che non, portano con sé tutta una serie di conseguenze psicologiche anche in persone che non hanno vissuto in prima persona l’evento.

Il periodo successivo ad una catastrofe è sensibile dal punto di vista del peggioramento delle condizioni di salute mentale di una popolazione. Dopo il terremoto che ha distrutto Amatrice e zone limitrofe, è aumentato lo stato d’allerta in persone che vivono lontano da lì, e che hanno iniziato a sperimentare disturbi del sonno, agitazione al minimo rumore, oppure comportamenti disfunzionali, come il controllare ripetutamente e in modo ossessivo le scosse che si verificano giorno per giorno anche in altre parti del mondo (vi sono delle app che lo consentono). Il recente crollo del ponte Morandi a Genova potrebbe avere conseguenze simili, rispetto allo stato d’animo con cui si approccerà un cavalcavia d’ora in avanti. L’immagine del ponte crollato è anzi un’immagine piuttosto rappresentativa di come un percorso di vita programmato possa essere distrutto in modo inatteso e impensabile.

Assistere alle scene di devastazione da un telegiornale può essere sufficiente ad innescare una serie di pensieri d’ansia e di rimuginazioni negative in persone che vivono anche a centinaia di chilometri dalla zona colpita. Il carattere improvviso, imprevedibile e devastante nelle conseguenze di questi eventi porta con sé una generale sensazione di assenza di controllo sulla propria vita e senso di impotenza. Il pensiero ruota intorno all’imprevedibilità con cui chiunque potenzialmente può essere colpito, in qualunque luogo e in qualunque momento.

La ricerca evidenzia anche un nesso tra i processi associati all’empatia e lo sviluppo e il mantenimento di sintomi d’ansia: più si è capaci di mettersi nei panni degli altri e più ci si proietta in un tipo di esperienza che non si è vissuta in prima persona.

Naturalmente, vi è una grande variabilità tra individui. A rendere più “resistenti” a queste conseguenze vi sono degli importanti fattori:

  1. le capacità adattive della persona;
  2. l’idea radicata di saper fronteggiare eventi avversi e la fiducia nella propria capacità di resistere;
  3. soprattutto, il sostegno sociale, la possibilità di confrontarsi, poter dire come ci si sente a una persona capace di offrire supporto.

Le persone che possiedono di meno queste caratteristiche sono maggiormente a rischio di sviluppare disturbi d’ansia che potrebbero inficiare la qualità della vita e sono anche le persone che più beneficiano di un intervento psicologico, tanto più efficace quanto più è precoce dopo un evento che ha minato il senso di controllo che ognuno di noi ha rispetto alla propria vita.

Se ci si ritrova nelle problematiche illustrate in questo articolo, è possibile richiedere un supporto psicologico qualificato.

Link alle risorse dell’American Psychological Association sul tema

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Il ciclo dell’ansia

Il ciclo dell’ansia

L’ansia è una reazione normale e sana, ma potrebbe diventare cronica attraverso il meccanismo definito “ciclo dell’ansia”.

L’ansia costituita da una serie di cambiamenti nel corpo e nel modo di pensare e comportarsi che ci permette di fronteggiare e rispondere rapidamente a minacce e pericoli per la nostra vita.

Facciamo un esempio.

Stai attraversando la strada fuori dalle strisce pedonali. A un certo punto vedi che un’auto sta sopraggiungendo velocemente e non accenna a rallentare per permetterti di completare l’attraversamento. Allora inizi a correre per metterti in salvo sul marciapiede qualche metro più in là. Il cervello rileva il pericolo e in automatico il corpo si attiva:

  • Il battito cardiaco accelera e la pressione del sangue aumenta;
  • La capacità del sangue di coagularsi aumenta, in preparazione ad una possibile lesione;
  • La sudorazione aumenta, per aiutare a raffreddare il corpo;
  • Una quantità di sangue è dirottata sui muscoli, che si tendono, pronti all’azione;
  • La digestione rallenta;
  • Diminuisce la produzione di saliva, causando secchezza delle fauci;
  • Il ritmo del respiro accelera, le narici e i passaggi di aria si dilatano, per far affluire velocemente più ossigeno;
  • Il fegato rilascia zuccheri, per fornire energia;
  • Gli sfinteri si contraggono per chiudere intestino e vescica;
  • Le risposte immunitarie si indeboliscono, il che è utile a breve termine per permettere una risposta massiccia all’immediato pericolo.

Tutto questo accade per permetterti di raggiungere velocemente il marciapiede ed evitare di venire investito.

Questa reazione, definita di “attacco-fuga”, è la stessa che sperimentiamo quando siamo in ansia, spaventati, preoccupati, agitati. Nel corpo puoi osservare alcune delle seguenti sensazioni (in misura maggiore o minore a seconda dell’entità della minaccia percepita):

  • Tremori;
  • Irrequietezza;
  • Tensione muscolare;
  • Sudorazione;
  • Fiato corto;
  • Tachicardia;
  • Tuffo al cuore;
  • Mani fredde e sudate;
  • Respiro affannoso;
  • Secchezza delle fauci;
  • Vampate di calore o brividi;
  • Nausea;
  • “Farfalle” nello stomaco.

Ora, la risposta del nostro corpo è identica, sia che la minaccia vada affrontata con uno sforzo fisico, sia che dobbiamo rispondere verbalmente a una critica aggressiva di un collega, oppure che temiamo una figuraccia parlando davanti a un pubblico, oppure che il medico ci dà una cattiva notizia sulla nostra salute, casi cioè in cui la soluzione non è certo combattere o mettersi a correre. La biologia è veramente di poco diversa da quella che caratterizzava i nostri antenati alle prese con un animale feroce. E perciò facciamocene una ragione, è così che funzioniamo.

A un certo punto però, può accadere qualcosa di più, alle persone più propense a preoccuparsi o ad allarmarsi eccessivamente. Osservando la propria reazione d’ansia, ne sono disturbati e iniziano a preoccuparsi per l’ansia stessa. Alcuni esempi di pensieri di preoccupazione:

  • Ancora una volta sto dimostrando di essere debole;
  • Sono troppo emotivo, non so affrontare le situazioni;
  • Vedendomi così, le persone penseranno che sono incapace;
  • Il cuore batte troppo velocemente … mi starà venendo un infarto?
  • Sono arrossito, che vergogna!

Ciò causa, naturalmente, una ulteriore attivazione del sistema attacco-fuga, portando ad un circolo vizioso. Se non si riesce a interrompere questo circolo, il problema d’ansia diventa cronico.

Desideri un aiuto per identificare il tuo ciclo dell’ansia e i fattori di mantenimento che lo tengono in vita?

Approfondisci i vari disturbi d’ansia

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Fobie sociali

Fobie sociali

Chi soffre di fobia sociale sperimenta un’ansia elevata in situazioni di interazione sociale, al punto da evitare tali situazioni, isolarsi ed apparire agli occhi degli altri inibito, distante, chiuso, addirittura ostile. Alcune delle tipiche situazioni in cui la persona si trova a dover gestire un’ansia eccessiva sono ad esempio: parlare ad un certo numero di persone, essere al centro dell’attenzione, avere a che fare con persone con autorità, ricevere critiche da qualcuno, essere osservati mentre si lavora, esprimere un proprio punto di vista ad una riunione. Questo tipo di fobia è molto invalidante, perché coinvolge aspetti molto importanti della vita delle persone, l’interazione sociale e la comunicazione, con una ricaduta pesantissima sulla vita professionale, affettiva, sentimentale. Ciò potrebbe significare dover rinunciare ad una carriera professionale pur possedendo tutte le competenze e le conoscenze necessarie, oppure rinunciare alla possibilità di una vita di coppia, oppure rinunciare al sostegno e all’affetto di amici.

La terapia cognitivo-comportamentale si concentra su una attiva acquisizione sia di capacità di auto-regolazione dell’ansia, sia di abilità sociali utili per fronteggiare situazioni di interazione (training di assertività), risultando la forma di terapia più pragmatica ed utile in questo genere di difficoltà.

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Disturbo da attacchi di panico

Disturbo da attacchi di panico

Chi soffre di attacchi di panico ha improvvisi e ripetuti episodi di ansia molto intensa, che possono durare alcuni minuti, in situazioni in cui non vi sono pericoli reali. Le paure più ricorrenti sono quelle di perdere il controllo di sé, di diventare pazzi, di morire improvvisamente (ad esempio per un attacco cardiaco) oppure di svenire. Il primo impulso è quello di fuggire dalla situazione in cui ci si trova. I sintomi fisici più comuni sono tachicardia, palpitazioni, tremori, sensazione di soffocamento, dolore al petto, nausea, senso di sbandamento, giramento di testa, torpore, formicolio, brividi.

Gli attacchi di panico possono accadere in qualunque momento, per cui alla fine si sviluppa la paura di avere un altro attacco. Quest’ultimo timore finisce per limitare la vita sociale e lavorativa di chi ne soffre, che inizierà ad evitare le situazioni in cui ha sperimentato un attacco.

La prima buona notizia per chi ha sperimentato attacchi di panico…

… è che nessuno dei timori che ha sono destinati ad avverarsi.

La tachicardia non significa che sta per arrivare un attacco cardiaco, ma solo che il proprio corpo è iper-attivato, come comunemente avviene quando si è in ansia; i giramenti di testa o la sensazione di avere la testa leggera non significano che si sta per diventare pazzi, né che si sta per svenire, è solo il prodotto dell’iperventilazione.

Tutti i sintomi fisici che si sperimentano, di fatto, sono il risultato dell’attivazione del nostro sistema di protezione dalla minaccia. La paura di perdere il controllo e di fare gesti inconsulti o impulsivi non è reale: anzi il controllo in quel momento è perfino maggiore di quello di cui si avrebbe bisogno. E nessuno con un disturbo d’ansia è destinato a diventare pazzo.

La seconda buona notizia…

… è che sono state messe a punto, negli ultimi decenni, tecniche con una buona efficacia per la remissione di questa sintomatologia. In particolare la terapia cognitiva – che identifica e modifica gli schemi di pensiero disfunzionali che tengono in vita l’ansia – e la terapia comportamentale – che permette la desensibilizzazione dell’ansia nelle situazioni a cui essa è associata.

Approfondisci altri disturbi d’ansia

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