Skip to main content

Tag: depressione

Si rimugina troppo?

Si rimugina troppo?

Una grande parte dei disturbi depressivi o ansiosi va di pari passo con quel rimuginio ininterrotto, ripetitivo e controproducente che può occupare ore e ore delle nostre giornate.

La principale caratteristica del rimuginio è la sua ripetitività e ridondanza, che lo distingue nettamente dal pensiero finalizzato alla soluzione di un problema. Spesso riteniamo che per risolvere un problema lo dobbiamo comprendere alla radice, analizzarne tutte le sfaccettature, approfondirne le cause e prevederne tutte le conseguenze. E poi ricominciare da capo, perché nulla sia sfuggito a questa analisi. Ci si pongono sempre le stesse domande, a cui non riusciamo da trovare risposte soddisfacenti, il che ci porta a ripetere l’intero processo, potenzialmente anche all’infinito. Questo è il modo migliore per restare incagliati in una situazione di stallo, carico di ansia e agitazione da cui nel tempo sarà sempre più difficile venir fuori. Osservando se stessi bloccati e in preda a una sofferenza emotiva sempre più intensa, finiremo anche completamente scoraggiati circa la possibilità di modificare lo stato di cose, di qui anche l’umore basso che a volte ci può attanagliare.

Vi è alla base un errore di fondo: si ritiene che più si riflette su una questione e più essa ci diventerà chiara e noi saremo più capaci di affrontarla, il che è del tutto sbagliato. Alcune varianti di questo pensiero:

  • più cerco di capire gli errori del passato e più sarò in grado di prevenire errori futuri;
  • più comprendo le radici dei miei problemi analizzando il mio terribile passato e prima ne verrò fuori;
  • più cerco di prevedere tutte le possibilità, più sarò preparato ad affrontare le situazioni;
  • più mi concentro su me stesso e più sarò capace di controllare le mie emozioni;
  • più rievoco le figuracce che ho fatto e più sarò pronto a gestire le successive occasioni sociali;
  • più mi rimprovero per gli errori fatti, più troverò la motivazione per cambiare;
  • più mi preoccupo, maggiore sarà la probabilità di successo.

Il motivo per cui questo metodo serve solo ad incrementare la nostra ansia, è che il pensiero ruota per tempi lunghissimi intorno ai nostri errori, inefficienze, inadeguatezze, pericoli futuri, insomma, tutto ciò che di negativo c’è nella nostra vita passata, presente e futura. Finiamo così per rinforzare il giudizio negativo su noi stessi, sul mondo e sulla vita. Tutto ciò non ci aiuta né a stare meglio, né ad essere più efficaci.

La tendenza a rimuginare è più diffusa di quanto si pensi e bisogna dire che quando è limitata nel tempo, non è sempre completamente negativa: a volte ci è utile prepararci a una sfida importante cercando di prevedere quello che ci aspetta, oppure riflettere sui propri errori per apprendere da essi. A segnalarci che abbiamo superato il limite, interviene l’ansia e la netta sensazione di essere in un circolo vizioso logorante, che non ci aiuta nell’azione, anzi ci frena, ci inibisce e, incrementando le nostre paure, ci paralizza. Ci si sente sopraffatti dalla preoccupazione, che finisce per occupare tutto lo spazio mentale, impedendoci di concentrarci nello studio e nel lavoro, godere appieno di un’attività di svago o apprezzare un momento di riposo. Nei casi più gravi la preoccupazione può toglierci il sonno.

Chi porta questo problema in una psicoterapia, spesso segnala di aver provato tutti i sistemi possibili per “smettere di pensare”, senza riuscire. Eppure esiste la possibilità di indagare questa problematica alla luce dei più recenti modelli metacognitivi e applicare strategie capaci di approcciarsi ai propri pensieri in modo diverso, più leggero, libero e costruttivo.

Per un consulto su questo tipo di esperienza mentale, è possibile richiedere una valutazione diagnostica e un aiuto per un dialogo interno più costruttivo.

Continua a leggere

Depressione al femminile

Depressione al femminile

La ricerca ha più volte evidenziato che le donne sono più vulnerabili alla depressione rispetto agli uomini. Analizziamo i motivi per cui questo è vero.

La predisposizione alla depressione è il prodotto della storia di vita: le persone che hanno appreso una visione pessimistica e il senso di impotenza di fronte agli eventi, hanno una maggiore probabilità di incorrere in una sintomatologia depressiva, di solito in seguito a eventi cosiddetti “precipitanti”, cioè situazioni problematiche, difficili o critiche che richiedono capacità di problem solving e di azione tenace, perseverante, efficace. Di fronte a questo tipo di stress, gli individui più predisposti alla depressione rispondono in modo inadeguato e inefficace, fallendo nel raggiungimento dei propri obiettivi. Le convinzioni pessimistiche della persona e il suo senso di impotenza si rafforzano in seguito al fallimento, e la probabilità di ritrovarsi in una nuova situazione di stress aumenta. A questo punto diventa un circolo vizioso.

Si è tanto più protetti dal rischio di depressione quanto più alto è il livello di AUTOEFFICACIA, cioè la sensazione di essere efficaci nel gestire gli eventi, la fiducia di possedere le capacità di affrontare e risolvere un problema, la convinzione di poter raggiungere determinati risultati mettendo in atto precisi comportamenti. L’autoefficacia si apprende nella vita, attraverso l’osservazione del comportamento altrui, attraverso l’incoraggiamento ricevuto da bambini nell’affrontare sfide via via più difficili, attraverso l’esperienza di successi nel superare tali sfide.

Questo è vero sia per gli uomini che per le donne. Allora perché queste ultime sono maggiormente esposte al rischio di depressione? La biologia non sembra riuscire a dare spiegazioni in merito, mentre la psicologia sociale sì, andando ad investigare la socializzazione dei bambini e delle bambine.

Nella maggiore predisposizione femminile alla depressione ha un ruolo fondamentale il PATERNALISMO.

In un setting sociale altamente paternalistico, un individuo può contare su altri per risolvere un problema o affrontare una sfida di vita, evitando di assumersi in prima persona le responsabilità, con la conseguenza di avere ridotte opportunità di assumersi dei rischi e di perfezionare le abilità e le competenze necessarie per fronteggiare in prima persona le difficoltà. Questo avviene sia per i bambini che per le bambine, dai quali naturalmente non ci si aspetta che siano da soli in grado di gestire delle situazioni problematiche. Al crescere dell’età, tuttavia, le bambine e le ragazze permangono in un setting paternalistico per un tempo maggiore rispetto ai bambini e ai ragazzi, probabilmente sulla base di stereotipi che etichettano le femmine come più delicate, fragili e bisognose di aiuto e protezione. Mentre i maschi vengono più facilmente incoraggiati a confrontarsi con la realtà, assumersi rischi ed essere attivi, dalle femmine ci si aspetta maggiore cautela, passività e una minore capacità di cavarsela da sole. Il risultato è che queste ultime, di fronte ad un problema, vengono meno spesso incoraggiate a confrontarsi da sole, ottengono più facilmente informazioni e consigli sul da farsi o addirittura trovano qualcuno che si sostituisce a loro nell’azione. Anche da adulte le donne, secondo un codice non scritto di norme sociali, si suppone debbano essere protette e guidate, mentre si suppone che gli uomini siano più capaci ed esperti.

Come si può intuire, l’atteggiamento paternalista incide pesantemente sul senso di autoefficacia e sull’esperienza di vita delle donne, che effettivamente avranno una maggiore probabilità di dubitare delle proprie capacità, di percepirsi deboli, vulnerabili e fragili di fronte alla vita e quindi più predisposte alla depressione.

Naturalmente questo non è un destino inevitabile: la cultura sessista sta cambiando nel tempo, le donne hanno via via sempre più opportunità di mostrare il proprio valore e di costruirsi una percezione di sé diversa rispetto a decenni o secoli fa. Una percezione di forza e competenza.

Se ci si ritrova nelle problematiche illustrate in questo articolo, avere un confronto professionale per comprendere come questi aspetti possano aver influito sulla propria vita può essere importante.

Approfondimenti su tematiche di genere

Continua a leggere