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Dottoressa, è il mondo che non va

Per la serie “spiegazioni controproducenti”: L’IDEA DI UN MODO OSTILE.

Quando abbiamo un problema che ci procura un qualche disagio psicologico, la prima operazione che fa il nostro cervello è immaginare le cause del problema stesso: dobbiamo darci delle spiegazioni, se vogliamo risolverlo e toglierci da quella situazione. Questa operazione è fondamentale e a seconda delle risposte che ci daremo, sceglieremo soluzioni diverse, alcune delle quali utili per risolvere il problema, altre invece inutili se non addirittura controproducenti. Se la spiegazione che ci diamo è disfunzionale o non aderente alla realtà, i nostri tentativi di soluzione del problema saranno con ogni probabilità fallimentari.

Una classica distorsione del pensiero consiste nel ritenere che la radice del problema risieda nel mondo là fuori, con la totale esclusione di una responsabilità da parte nostra. Questo tipo di prospettiva può prendere forme diverse:

  • l’idea di attrarre solo persone cattive, violente, manipolatrici o inadatte, colpevoli di farci soffrire,
  • l’idea che il problema sia di essere una persona troppo buona, destinata a essere schiacciata in un mondo di persone egoiste, menefreghiste e senza scrupoli,
  • l’idea che gli altri abbiano sempre cattive intenzioni nei nostri confronti, per cui non abbiamo scelta se non difenderci isolandoci o contrattaccando,
  • l’idea di essere sfortunati e quindi colpiti in maniera elettiva da una sorte avversa,
  • l’idea di essere nati con un destino più duro e difficile degli altri, i quali avrebbero invece tutti una vita più agevolata.

La sostanza non cambia: il problema non sono io.

Una delle conseguenze di questo tipo di logica, è che i propri comportamenti disfunzionali vengono visti come una naturale e inevitabile reazione a quanto ci accade. Insomma la conclusione è: “io non ci posso fare nulla.”

Tutto ciò sembra salvaguardare il nostro amor proprio, come se ci alleggerissimo in un qualche modo, ma solo in apparenza questo è buono per noi. Sposare questa prospettiva significa infatti scivolare nella depressione dovuta al senso di impotenza, lo scoraggiamento e una visione completamente negativa del mondo. Si diventa sempre più soli perché i rapporti personali tendono ad essere compromessi dalla sfiducia e dalla diffidenza. Il disagio è spesso collegato con lunghe e improduttive rimuginazioni di rabbia.

Finché non si riesce a mettere a fuoco il proprio ruolo in quanto accade, nei termini di almeno una parziale responsabilità, non si può nemmeno riuscire a immaginare di avere un potere di cambiamento e una reale capacità di modificare l’esito.

Facciamo un esempio: se non raggiungo un obiettivo, come superare con successo un colloquio di lavoro, ho due possibilità: pensare che la sfortuna si accanisce su di me e quindi non troverò mai un lavoro, con la conseguenza di scoraggiarmi e rinunciare a presentarmi ad altri colloqui. Oppure pensare che trovare un lavoro non è facilissimo, però magari anche il mio modo di pormi non è stato efficace. Allora, invece di scoraggiarmi, potrò lavorare per migliorare la mia capacità di presentarmi, mantenere il contatto oculare col mio interlocutore, spiegare con sicurezza i miei punti di forza, prepararmi meglio su determinate tematiche, fare domande pertinenti, ecc. Ecco che riconoscere la propria responsabilità apre le porte ad un cambiamento che aumenterà le probabilità di successo.

Un percorso di psicoterapia cognitivo-comportamentale può facilitare questo passaggio e ridare senso di efficacia, fiducia e potere di cambiamento, interrompendo circoli viziosi improduttivi.