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Anno: 2021

Un progetto di AMT Teatro

Un progetto di AMT Teatro

L’associazione AMT Teatro ha una doppia anima. Lo spettacolo, ma anche l’impegno civile e la sensibilizzazione su varie tematiche sociali, come la violenza. Trovo potente coniugare attività di formazione e di psicoeducazione al teatro, indubbiamente più capace di toccare e sollecitare l’emotività. Permette di vivere da dentro il tormento, la sofferenza, il conflitto conseguenza delle infinite umiliazioni, vessazioni e minacce a cui è sottoposta una donna che subisce violenza in una relazione di intimità.

Il sapere, sommato al sentire profondamente, diventa solida consapevolezza.

L’evento di debutto dell’associazione AMT Teatro è stato il 12 settembre 2021 a Monte San Vito, con la rappresentazione del dramma “La sala d’attesa” di Stefania De Ruvo. Subito dopo, un momento di riflessione sulle radici socio-culturali della violenza di genere, sulle forme e le dinamiche della violenza e le sue conseguenze anche psicologiche per le donne. Accanto a me, nell’attività di formazione, Antonella Pampolini, educatrice ed esperta di violenza di genere.
Il progetto intende supportare varie realtà territoriali che operano nel contrasto della violenza, sia contribuendo alle loro iniziative di sensibilizzazione, sia raccogliendo fondi in loro favore.

Nella rappresentazione del 12 settembre, ad esempio, pur essendo un evento gratuito, sono stati raccolti fondi per il centro antiviolenza di Fabriano “Artemisia”.

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Approfondisci gli aspetti psicologici dei personaggi de La sala d’attesa

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Io e la mia amica ansia

Io e la mia amica ansia

Laboratorio di base di autoregolazione dell’ansia

Teatro Dorico, Ancona, dal 7 ottobre 2021

Laboratorio di gruppo condotto insieme all’amica Antonella Pampolini, consulente socio-pedagogica, per AMT Teatro, un’associazione che si pone finalità di formazione, sensibilizzazione ed educazione che vanno ben al di là delle sole attività teatrali.

In cinque incontri, vengono approfonditi i meccanismi dell’ansia e di quel sistema della minaccia che si attiva quando percepiamo un pericolo. Come funziona? Come rispondono il nostro cervello e il nostro corpo? Perché siamo arrivati a reagire così? Cosa è nel nostro controllo e cosa no? Ma soprattutto: quali sono gli schemi di pensiero e di comportamento di cui possiamo diventare consapevoli, che hanno un ruolo in tutto questo?

Accanto a momenti di psicoeducazione, sono contemplati momenti di esercitazioni pratiche, per acquisire una crescente capacità di auto-regolazione, di rispettosa auto-esplorazione e di dialogo interiore più pacato.

Gli incontri sono gratuiti per i soci e le socie di AMT Teatro.

ATTENZIONE: Questo percorso non sostituisce una psicoterapia per le persone con un grave disturbo d’ansia. Il laboratorio offre spunti e permette di toccare con mano modalità più funzionali di rapportarsi con se stessi e i propri vissuti emotivi, che favoriscono il benessere, ma senza avere la pretesa di guarire completamente da sintomi consolidati nel tempo che richiederebbero un percorso di terapia personalizzato.

Programma

7/10/2021 Presentazione del programma, Introduzione generale sull’ansia
14/10/2021 I nostri sistemi emotivi, I sintomi fisiologici dell’ansia
21/10/2021 I sintomi cognitivi dell’ansia 1: gli stili di pensiero “inutili”
28/10/2021 I sintomi cognitivi dell’ansia 2: gli schemi consolidati nel tempo
4/11/2021 I sintomi comportamentali: quello che facciamo che alimenta l’ansia

I pareri delle partecipanti che hanno voluto lasciarci un feedback:

« Questo laboratorio è stato molto utile e interessante, ho potuto comprendere molte cose che riguardano me e la mia ansia.

« Grazie a voi!! Il laboratorio è stato veramente interessante ed utile. E’ mia intenzione partecipare ad un’altra edizione per acquisire maggiore conoscenza dei meccanismi dell’ansia e soprattutto del mio sistema emotivo. Permettere che questi apprendimenti si sedimentino sempre di più per migliorare la convivenza con la mia amica ansia.

« Le spiegazioni sui nostri tre sistemi sono state molto esaurienti e utilissime ma mi piacerebbe vederli in scena magari con delle mimiche e delle scenette di vita reale. Tantissimi complimenti a voi organizzatrici così brave e alla mano sempre molto partecipi anche emotivamente.

« Iniziativa interessante e utile.

« Posso dire solo che mi sono trovata a mio agio.

« Confermo tutta la mia sorpresa e il gradimento per il corso svolto.

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Compassion focused therapy

La Compassion focused therapy

È un approccio integrato che si basa sulla psicologia evoluzionistica, sociale, dello sviluppo e sulle neuroscienze.

Il focus è sulla capacità di sviluppare una mente compassionevole per aiutare le persone a fare l’esperienza di calore, sicurezza e calma interiori. Si tratta di una serie di tecniche che integrano l’approccio cognitivo-comportamentale e che permettono di superare più velocemente il vissuto di vergogna e di colpa, comuni a molte forme di psicopatologia e di sofferenza umana.

Le esperienze di colpa e di vergogna

La ricerca scientifica suggerisce che uno specifico sistema di autoregolazione emotiva sottostà ai sentimenti di auto-rassicurazione, sicurezza e benessere psicologico. Tale sistema si è evoluto con i meccanismi di attaccamento e la capacità della figura accudente di cogliere e rispondere ai fondamentali bisogni del bambino, trasmettendo la sensazione rassicurante di essere protetti, nutriti, accolti con tenerezza. Questa esperienza così fondamentale potrebbe essere stata carente nella storia di vita ed essere così all’origine di uno sbilanciamento emotivo.

Le persone con elevati livelli di vergogna e di autocritica hanno enormi difficoltà ad essere gentili e compassionevoli con se stessi. Non sempre, ma a volte c’è a monte una storia di abusi, trascuratezze gravi o profonde deprivazioni sul piano affettivo. Chi ha avuto esperienze precoci di questo tipo è molto sensibile alla minaccia del rifiuto o della critica e rapidamente diventa autocritico oppure ostile verso il mondo esterno.

La terapia focalizzata sulla compassione

La Compassion Focused Therapy fa parte delle terapie cognitivo-comportamentali di terza generazione, sviluppata da Paul Gilbert. Secondo Gilbert sono tre i sistemi emotivi fondamentali: il sistema della minaccia, il sistema della ricerca di stimoli e il sistema calmante.

Una serie di tecniche e pratiche di CFT permettono di allenare e sviluppare il sistema motivazionale innato dal potere calmante e disattivante (soothing system) rispetto al sistema della minaccia che sottostà ai vissuti di paura, ansia, rabbia. L’obiettivo della terapia non è annullare il sistema della minaccia così utile per proteggerci quando è necessario, bensì riequilibrare i tre sistemi di regolazione delle emozioni.

Una serie di pratiche guidano il paziente verso una auto-osservazione rispettosa, tenera e gentile, arrivando anche a rientrare in contatto con traumi ed esperienze interiori molto negative. La pratica di CFT aiuta anche nel silenziare il rimuginio autodistruttivo, nel prendere le distanze dai circoli viziosi del pensiero autocolpevolizzanti che perpetuano la sofferenza, nell’interrompere quello che viene definito il “ciclo dell’ansia”.

La dott.ssa Grilli ha ottenuto la certificazione europea per la CFT. Vedi il sito di Compassionate Mind Italia

Contatta la dott.ssa Elena Grilli per esplorare pratiche che si sono già dimostrate particolarmente efficaci per i disturbi dell’umore, il disturbo post-traumatico da stress, le psicosi, il dolore cronico.

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Quando 1+1 fa sempre 1

Quando 1+1 fa sempre 1

La violenza psicologica come modo per annullare l’alterità

Breve sintesi dell’intervento

“Quando 1+1 fa sempre 1” è illustrativo di quello che accade in una relazione sentimentale non alla pari, basata sul potere e il controllo, non necessariamente ottenuto attraverso agiti palesemente violenti sul piano fisico. Le modalità più nascoste e subdole, dobbiamo poterle riconoscere per potercene difendere. Quello che accade è che una delle due individualità prevale al punto da annullare, schiacciare, cancellare completamente l’altra.

Quello che è in gioco nella relazione è il potere assoluto. Uno dei due necessita di dominare come un sovrano assoluto. Diversamente dal violento fisicamente, però non è un sanguinario, che soffoca nel sangue la ribellione. E’ un capo che vuole la sottomissione volontaria di una partner, la sua adulazione. Vuole che la partner non possa nemmeno immaginare la sua vita senza di lui.

Ora, se si vuole la sottomissione di qualcuno, senza commettere reati, senza minacciare di morte, senza picchiare, senza usare armi o oggetti contundenti, come si può fare? Si attacca la fiducia che la persona ha in se stessa, facendola vacillare, portandola ad avere dubbi sulle proprie capacità. Portandola alla convinzione di avere bisogno di appoggiarsi a qualcuno che la sorregga, la guidi e la protegga. È così che si ottiene il potere.

Chi fa violenza psicologica?

Il senso comune ci dice che tutti e tutte siamo capaci di fare violenza psicologica. Nella coppia può avvenire ad opera di un uomo o ad opera di una donna verso il rispettivo partner. Si è visto che può avvenire con le stesse modalità anche nelle coppie omosessuali.

Ma… la violenza ha anche radici culturali, viene di più legittimata quando viene fatta da un uomo. Per questo motivo è statisticamente più frequente e più micidiale e pericolosa. Anche i giudizi negativi sono più forti su una donna quando non si confà ai ruoli di genere. La cultura ancora profondamente patriarcale ci insegna fin da appena nati che le donne sono fatte per servire gli uomini. Dunque quando un uomo fa violenza psicologica criticando il disordine in casa, la cena fredda, la camicia non stirata, viene anche legittimato dalla cultura dominante. Invertendo i ruoli, una donna può certamente agire violenza psicologica imponendo pretese varie, ma non c’è un retroterra culturale che le dia ragione.

Una delle modalità attraverso cui avviene il soggiogamento di una persona è l’isolamento, fino anche alla reclusione tra le quattro mura. Anche qui, una donna che esce da sola o con le amiche lasciando il marito a casa può andare incontro a pesanti giudizi. Dunque quando un uomo fa pesare che non dovrebbe uscire senza di lui, è legittimato in parte da un pensiero che non è solo suo, ma di una parte della società in cui viviamo. Il contrario non accade. Una donna può agire nel senso di limitare la libertà dell’altro, criticando, accusando, insinuando, ma certamente andrà incontro al biasimo generale.

In definitiva, se in una coppia è l’uomo a dettare le regole, a dominare, si dice che sta facendo l’uomo. E questo è ok. Se è una donna ad avere il comando, si dice che non è una vera donna. Non è ok. Il primo viene premiato dalla società, la seconda viene biasimata.

Il bisogno di controllo: perché?

Tutti abbiamo bisogno di controllo: ci permette di percepire la realtà in modo stabile e meno minaccioso. Se io ho fiducia di poter esercitare un certo controllo sulla realtà che mi circonda, nulla di poi così terribile mi potrà mai capitare. Non sono alla mercé del caso, del fato, di eventi avversi fuori dal mio potere. Questo è vero per tutti quanti noi. E riguarda anche le relazioni sentimentali: il bisogno di sentire che la relazione sia stabile, sicura e che la persona che ho accanto è affidabile.

Per alcuni il bisogno di controllo è esasperato, diventa bisogno di potere sull’altro. Ha a che fare con il non accettare un minimo rischio. Ad esempio, in una coppia alla pari, dove entrambi sono liberi, è necessario accettare una certa dose di rischio di essere traditi o lasciati. Se non lo si accetta, perché si dà a questi fatti un significato particolarmente negativo, terribile (sono rifiutabile, abbandonabile, sono sbagliato, le mie relazioni sono un fallimento e quindi io sono un fallimento) allora si cercherà di scongiurare il più possibile questa evenienza, esercitando controllo. In una profezia che si autoavvera, di solito proprio diventando controllanti, invadenti, pretenziosi si è più esposti al rischio di essere lasciato, ma questa consapevolezza a volte manca.

Sicuramente chi ha dei tratti di personalità narcisistici, col suo bisogno di risplendere, essere posto al centro, avere un piedistallo su cui poggiare, può attuare modalità di manipolazione o violenza psicologica. Ma non sono necessariamente i narcisisti gli autori della violenza psicologica. A volte, la persona potrebbe avere semplicemente bisogno di auto-rassicurarsi sulla stabilità del proprio legame, quindi può trattarsi di una persona con dei tratti di personalità di tipo dipendente. A volte, più raramente, ci possono essere persone con dei tratti cosiddetti sociopatici, che a livelli di maggiore gravità possono trarre piacere dall’umiliare, schiacciare, nuocere all’altro, dimostrando a volte perversione, totale indifferenza per il vissuto di sofferenza dell’altro, assenza di rimorso.

In ogni caso le strategie per sottomettere psicologicamente l’altro non cambiano di molto. In certi casi però si possono raggiungere elevati livelli di crudeltà. Spesso sono uomini per un fattore unicamente culturale: sono educati a essere dominanti, pena il non essere considerati “veri uomini”.

La violenza psicologica

La violenza psicologica è tutto ciò che, attraverso le parole o modalità comportamentali, è volto alla demolizione dell’autostima e dell’autonomia di una persona, indebolendo la fiducia in sé e la capacità di autodeterminazione.

Naturalmente, più l’autostima è debole, più è facile rendere qualcuno dipendente.
Le modalità più tipiche con cui si manifesta possono essere più facilmente riconoscibili (minacce, intimidazioni, insulti, offese, denigrazioni, squalifiche) in quanto esplicite e capaci di veicolare un senso di paura o mortificazione. Oppure più difficili da discriminare, quando la modalità prevalente è di tipo manipolatorio (sottili ricatti, manipolazioni della realtà, tattiche volte a isolare qualcuno facendogli terra bruciata intorno, oppure sottili strategie di colpevolizzazione).

L’esito che si può raggiungere è appunto l’annullamento dell’altro come persona, l’azzeramento della sua volontà e libertà di pensiero.

La manipolazione affettiva

Manipolare significa letteralmente lavorare con le mani, plasmare a proprio piacimento. Di base, un bravo manipolatore, è un bravo comunicatore: ci sa fare a ottenere il risultato desiderato, attraverso la comunicazione verbale e non verbale.

Può manipolare la realtà dei fatti, negando che qualcosa sia avvenuto, minimizzando i fatti, oppure mentendo spudoratamente. Lo scopo in questo caso è rendere l’altra insicura circa la propria percezione della realtà. Spesso la manipolazione riguarda la responsabilità personale di quanto accaduto: il manipolatore suggerisce sistematicamente una colpa: per le cose che vanno storte oppure per il suo stesso comportamento (ad esempio insistendo sul fatto che “se ho sbagliato, sei tu che mi hai portato a questo”.)

Spesso il manipolatore utilizza l’arma del vittimismo: “soffro perché tu mi fai del male col tuo comportamento”. Il vittimismo funziona molto nelle relazioni di intimità per portare l’altro a modificare il proprio comportamento in una relazione affettiva tutti e tutte saremmo tentati fortemente di fare tutto ciò che è in nostro potere per far star bene l’altro. Se passa il messaggio che il disagio è dovuto al comportamento del partner (che ferisce, offende, manca di rispetto…) quest’ultimo si sentirà tutta la responsabilità di quel malessere e sarà indotto a modificare il proprio comportamento per alleviare le sofferenze della persona amata. Se questo ha anche una base culturale in termini di pretesa sulle donne di prendersi cura, è ovviamente molto più potente.

A volte la manipolazione passa attraverso il linguaggio non verbale, attraverso gesti anche piccolissimi ma con grande potere comunicativo, ad esempio uno sguardo di disapprovazione, un gesto seccato, una smorfia di disappunto, che la partner rileva. In una relazione affettiva, in cui si cerca di compiacere un partner, si modifica il proprio agire pur di avere una risposta positiva, di approvazione.

A volte la “punizione” può essere un cambiamento di umore, un periodo più o meno lungo di mutismo, oppure una certa freddezza nel modo di fare, che trasmette all’altra biasimo, rimprovero. Se non si riesce a intuire le ragioni di questo cambiamento umorale, ci si può ritrovare a continuare a domandarsi “cos’avrò fatto di sbagliato?”. È una condotta che nel tempo trasferisce un senso di inadeguatezza generale che la persona potrebbe portarsi dentro per molto tempo, in certi casi anche dopo la fine della relazione tossica.

Se queste modalità sono stabili, ripetute sistematicamente, possono avere un grande peso nel limitare qualcuno nelle sue scelte di autonomia.

Il ciclo della violenza

Alla fine degli anni ’70 la psicologa Lenore Walker concettualizzò uno degli strumenti più utili per decodificare quello che accade in una relazione maltrattante, solo apparentemente contraddittorio e confuso per chi lo vive dal di dentro, ma in realtà rispondente a un preciso schema funzionale al rafforzamento del potere dell’abusante.
Il pattern della violenza è composto da precise fasi che si susseguono e si ripetono.

L’accumulo della tensione

La fase di accumulo della tensione è caratterizzata da un crescente scontento e un sempre più visibile fastidio, che nei casi di violenza poi diventa rabbia nel maltrattante, ma può restare semplice maretta. Parallelamente, la donna sente salire dentro di sé un timore o un dubbio di aver fatto qualcosa di sbagliato (quando c’è violenza grave ha proprio paura), che la spinge a fare qualcosa per accondiscendere, calmare, accontentare l’altro; diventa più prudente e attenta a quello che fa.

Il maltrattamento

Nella seconda fase avviene il maltrattamento. Esplode la rabbia e la violenza verbale, quella che le donne ci riferiscono essere anche la forma di violenza che porta più conseguenze per la loro salute psicologica: insulti, offese, critiche aspre, accuse. Se anche non si arriva all’aggressione, è evidente che i litigi non sono alla pari. Chi vince è sempre solo uno; chi ottiene ragione è sempre lo stesso, mentre l’altro soccombe ed è sistematicamente nell’impossibilità di portare le proprie ragioni.

La “luna di miele”

Agli episodi di maltrattamento segue sempre una fase di calma, definita “luna di miele”, caratterizzata dalla volontà di riavvicinamento dell’uomo, che mette in atto una serie di comportamenti compensatori. Ritorna la calma, lui può anche scusarsi per aver detto quelle cose che non pensa, concede qualcosa di molto gradito alla partner. Si quietano le acque. In alcuni casi lui sembra tornare esattamente l’uomo di cui ci si è innamorate, portando la donna a pensare che, se la situazione potesse durare, sarebbe la relazione perfetta, quella che la rende felice, la famiglia che ha sempre voluto avere. L’uomo ha un comportamento del tutto antitetico e contraddittorio rispetto alla precedente fase: laddove la donna veniva svalutata e colpevolizzata (“sei la mia rovina, la causa di tutti i miei problemi”), qui viene esaltata e collocata in un ruolo salvifico (“Non posso vivere senza di te, sarei perso, la mia vita sarebbe finita, solo tu mi puoi guarire”).

Un aspetto da rilevare è che anche nell’apparente pentimento, molto difficilmente il violento si assumerà l’intera responsabilità dell’accaduto. Pur dichiarando il proprio rincrescimento e mostrando contrizione, tenterà sempre di insinuare l’idea che lei non avrebbe dovuto provocarlo, sfidarlo, comportarsi in modo scorretto verso di lui.

Il ciclo della violenza è è intrinsecamente manipolatorio, perché non permette di rendersi immediatamente conto di essere in una relazione tossica: lui ha sbagliato, ma poi ha cercato di rimediare, quindi non è cattivo, no? Mi ha insultato, perché in effetti un errore l’ho commesso, però allo stesso tempo mi adora e non mi fa mancare niente. E così si finisce per permanere in una relazione in cui il maltrattamento viene occultato dai comportamenti compensatori della “luna di miele”, che è, naturalmente, strumentale ad avere il controllo, a inibire la possibilità che lei si voglia svincolare.

Nei casi più gravi, quando il manipolatore ha anche tratti antisociali, possiamo finire nel campo della tortura psicologica e del gusto a minare ogni certezza dell’altra, vederla spaventata e disorientata, vederla nel panico e andare da lui per essere rassicurata, perché lui è paradossalmente anche il punto di riferimento affettivo e la fonte di rassicurazione.

Il continuo alternarsi di maltrattamenti e affettività positiva comportano grande confusione e difficoltà per la vittima a decodificare con chiarezza il problema e le sue cause. Il più delle volte la donna sceglierà di continuare a investire nella relazione, sforzarsi di modificare il proprio comportamento fino all’autosacrificio e oltre, fino al totale annullamento di sé, nella speranza che le cose possano funzionare.

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Paura di nausea e vomito

Paura di nausea e vomito

L’esperienza della nausea non è certo piacevole, tuttavia a volte la paura che la circonda può diventare una vera e propria fobia.

In altre parole, si può andare in ansia anche solo pensando di potersi sentire male in determinate circostanze, che quindi saranno evitate.

Spesso si evitano certi cibi associati con l’esperienza della nausea, oppure non si riesce a mangiare fuori casa. Talvolta si saltano i pasti, immaginando di sentirsi male subito dopo aver mangiato. Le conseguenze più invalidanti hanno a che fare con il non riuscire a fare viaggi, partecipare a feste e cene fuori, servirsi di autobus o altri mezzi di trasporto associati con la nausea. A volte non si esce proprio di casa.

Il pensiero d’ansia può essere quello di sentirsi improvvisamente male, non riuscire a inibire il riflesso del vomito oppure fare una figuraccia in un contesto sociale. In effetti talvolta queste paure fanno parte di un più ampio disturbo d’ansia sociale.

Le persone che soffrono di questo disturbo d’ansia (emetofobia) riconoscono come irrazionali i loro timori. Tuttavia sono in un circolo vizioso nel quale:

  • L’anticipazione della situazione di disagio incrementa l’ansia.
  • L’ansia può effettivamente portare nausea. (L’ansia mette sotto stress tutti i sistemi: cardiovascolare, muscoloscheletrico, nervoso, respiratorio, e anche digerente).
  • La sensazione che proviene dallo stomaco dà alla persona la conferma che quello che teme si sta verificando, in un crescendo di malessere.

Come tutti i circoli viziosi, anche questo si può spezzare.

La terapia

Vi sono tecniche molto efficaci per fronteggiare e superare queste sensazioni e paure. In particolare, la terapia cognitivo-comportamentale può aiutare a:

  • Identificare e sfidare i pensieri negativi che causano stress;
  • Fronteggiare le situazioni temute attraverso tecniche di desensibilizzazione.

Anche quando non vi sono cause mediche che giustificano la nausea e il vomito, chi soffre di questo disturbo tende a fare uso di farmaci per gestirli. La terapia cognitivo-comportamentale invece fornisce alla persona gli strumenti personali per ridurli gradualmente fino alla loro estinzione.

Un percorso di psicoterapia cognitivo-comportamentale può facilitare questo passaggio e ridare senso di efficacia, fiducia e potere di cambiamento, interrompendo circoli viziosi improduttivi.

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Non ce la faccio… rimando!

Non ce la faccio… rimando!

Una delle difficoltà che più ci impedisce di raggiungere i nostri obiettivi è la procrastinazione, la sistematica e fatale decisione di rimandare un’attività.

La maggior parte delle volte – ammettiamolo – noi non siamo del tutto persi e senza punti di riferimento. Sapremmo esattamente cosa fare e come. Tuttavia diciamo a noi stessi:

  • “Non ora”
  • “Adesso non ce la faccio”
  • “Ho ancora tanto tempo per…”
  • “Non sono pronto/a”

Naturalmente non è patologica ogni scelta di rimandare qualcosa. Tutti lo facciamo. Ma se la procrastinazione è cronica, mina importanti obiettivi di crescita personale o progetti. E diventa un problema.

Dopo la scelta di rimandare, il nostro cervello continua a lavorare e a valutare la nostra stessa scelta. Iniziamo a dire a noi stessi:

  • “Pigro!”
  • “Sei inutile”
  • “Sei un menefreghista”
  • “Non combinerai mai nulla”
  • “Sei un incapace”
  • “Sei un fallito”

Quando dobbiamo insultare noi stessi di solito non andiamo troppo per il sottile. L’idea (del tutto infondata) è che tanto più ci andremo pesante, tanto più ci riscuoteremo dall’immobilismo. Purtroppo non è così che troveremo la motivazione. Anzi, è questo il modo migliore per avere un umore ancora più basso e un drammatico calo di energie e voglia di fare.

Il circolo vizioso

Siamo di fatto in un  circolo vizioso. Se un’attività è sgradevole, noiosa o difficile, tanto più la rimandiamo, tanto più diventerà difficile pensare di applicarsi. Si tratta probabilmente del meccanismo che più di ogni altro è responsabile dei nostri fallimenti. E ci predispone alla depressione che ci attanaglia in particolari momenti della nostra vita.

Il procrastinatore seriale di solito si trova a dover fronteggiare alti livelli di stress che possono far sentire paralizzati, bloccati. Tanto più applica la sua strategia di evitamento, tanto più si sentirà alleggerito nell’immediato. Il carico di stress aumenterà però a medio e lungo termine. Il carico di lavoro si accumula, la scadenza si avvicina, la paura della disfatta cresce, i pensieri di incapacità personale si fanno più insistenti.

Dietro la tendenza a procrastinare ci può essere la paura di fallire, ed è paradossale come proprio così aumentiamo la probabilità di fallire. E’ come una ferita autoinflitta, un negare a se stessi la gratificazione di un obiettivo raggiunto, un togliere senso alla nostra esistenza.

Come uscirne?

Motore del benessere è rappresentato invece dall’emozione positiva che scaturisce dal riuscire in qualcosa che ci siamo riproposti, il poter dire a se stessi “Ce l’ho fatta”. Questo ci predispone al meglio per il successivo obiettivo da raggiungere. Ogni successo è come un premio per il nostro cervello, e quindi mette in circolo energia positiva.

Per uscire dal circolo vizioso a volte non è sufficiente semplicemente fare quello che si deve fare. Se fosse facile non esisterebbe il problema. Vi sono però metodi collaudati di autoregolazione emotiva che possono facilitare quel movimento in avanti iniziale che innesca il circuito virtuoso di azione e gratificazione.

Come regolare quella tensione emotiva responsabile dell’evitamento? Vi sono delle tecniche, che in un percorso di psicoterapia cognitivo-comportamentale possono essere padroneggiate, per ridiventare padroni del proprio destino.

Contatta la dott.ssa Elena Grilli per iniziare ad agire in questa direzione… senza rimandare!

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